Questo breve romanzo – scritto dapprima in russo nel 1930 e poi in inglese nel 1965 – si fonda su una vertiginosa scommessa: raccontare come, dopo un suicidio, il pensiero umano possa continuare a vivere «per inerzia» e costruirsi un romanzo alternativo alla realtà, con la quale poi finirà per collidere. La scena è quella degli emigrati russi a Berlino, mondo fragile e illusorio, congeniale a una narrazione dove Nabokov scatena tutti i suoi estri in tema di specchi, riflessi, sdoppiamenti – come dire il terreno peculiare su cui si svilupperà la sua arte.
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