Essere un rabbino significa vivere con la morte: quella degli altri, ma anche la propria. Significa però soprattutto trasmettere la morte come lezione di vita per quelli che restano: «Cosí, mi trovo al fianco di donne e uomini che in momenti cruciali della loro vita hanno bisogno di narrazioni». Il tessuto di questo libro di consolazione intreccia strettamente tre fili: il racconto, l'esegesi e la confessione. La narrazione di una vita interrotta, il modo di dare senso a una morte attraverso i testi della tradizione e l'evocazione di una ferita intima o la rammemorazione di un episodio autobiografico di cui ha risvegliato il ricordo seppellito da qualche parte. I testi sacri aprono un varco tra i vivi e i morti: «Il ruolo del narratore è quello di stare sulla soglia, per garantire che resti aperta». E permettere cosí a ciascuno di fare la pace con i propri fantasmi.
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