Cambiare aria» rende bene l'idea del viaggiare. Per quanto breve sia il viaggio, significa altri spazi, altro ritmo temporale, altri volti prima ignoti, e le loro vite appena sfiorate. Vuol dire anche dislocarsi altrimenti nei confronti della stessa attualità, percepirne i rimbalzi locali, relativizzarne gli effetti. L'attrattiva del «diario di bordo» di Marc Augé è tutta nel nuovo respiro che ogni volta quel cambiamento d'aria produce. Perché nonostante il nontempo e i nonluoghi che inghiottiscono la nostra sfiatata modernità - e che proprio Augé con acutezza di antropologo ha ravvisato per primo -, l'esperienza non è preclusa a chi sappia distogliersi dall'ordine abituale del mondo sotto casa. Viaggiatore implicato e reattivo, Augé prende nota mese dopo mese di andate e ritorni, del loro «ineguagliabile sapore dolce-amaro», dei resti fantasmatici che essi depositano nella memoria. L'altrove di tre continenti, dalle geometrie arroventate di Mexicali alle suggestioni cordiali dell'Emilia, filtra gli echi della Grande Storia, ma insieme aiuta a rimuovere gli stereotipi mediatici che ombreggiano la crisi planetaria o le vittime di Gaza, il neoletto Obama o la rivolta dei giovani iraniani. Ritroviamo, in Per strada e fuori rotta, l'intreccio di vicinanza e lontananza che ha sempre tramato i grandi taccuini di viaggio, e che riesce ancora a comunicarci, nell'orizzonte globale, i sussulti e le vertigini dello spaesamento.
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