Perché le critiche hanno su di noi un effetto molto più rilevante rispetto agli elogi e agli apprezzamenti? Il fatto è che il nostro cervello è programmato per concentrarsi sul "male". È quello che viene chiamato "effetto della negatività" e che spiega cose grandi e piccole: perché i Paesi affrontano guerre disastrose, perché le coppie divorziano, perché le persone falliscono i colloqui di lavoro, perché gli studenti vanno male a scuola, perché gli allenatori di football puntano tutto sul cosiddetto "quarto down". In ogni momento della giornata il "potere del male" determina l'umore delle persone, guida le campagne di marketing e domina le notizie e la politica. Il pregiudizio della negatività ha una spiegazione originaria in senso evoluzionistico – teneva vigili i nostri antenati riguardo a pericoli potenzialmente letali – ma oggi distorce la nostra percezione dell'ambiente. La raffica inarrestabile di cattive notizie a cui siamo sottoposti ci fa sentire impotenti e ci lascia, inutilmente, in uno stato di timore e rabbia. Ignoriamo le numerose cose e persone positive che ci circondano, preferendo ascoltare – e votare – quelle che ci dicono che il mondo sta andando a rotoli. Una volta che impariamo a riconoscere il pregiudizio della negatività, il cervello razionale può gestire il "potere del male" anche a proprio vantaggio. Se correttamente compreso, dunque, il "male" può essere sfruttato alla perfezione. Come mostrano il noto giornalista scientifico John Tierney e lo psicologo sociale Roy F. Baumeister, possiamo adottare strategie collaudate per evitare le insidie che rovinano le relazioni, le carriere, le imprese e le nazioni. Invece di disperarci per ciò che non va nella nostra vita e nel mondo, possiamo concentrarci su ciò che va bene e impegnarci a renderlo ancora migliore.
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