Asilo e rifugio per reietti, città promiscua, che cresce accogliendo gli stranieri e i vinti, concedendo la libertà agli schiavi, dove mescolare il sangue non è un tabú, ma una virtú: cosí appare Roma ai suoi albori attraverso i luoghi della memoria e i miti di fondazione. Lungi dall'essere motivo di imbarazzo, come avrebbero voluto i suoi nemici, questi racconti divennero la pietra angolare sulla quale i Romani costruirono la propria "identità" civile e politica. Molte sono le "Rome" che hanno preceduto quella di Romolo, eppure vi è una costante, una sorta di filo rosso che le unisce tutte: una costituzione "aperta", che si esprime nella capacità di accogliere e integrare lo straniero. I miti delle origini insegnavano che la romanità non scorre nel sangue di chi la possiede, non è, dunque, un dato biologico, testimone di purezza, ma piuttosto un merito culturale, che si guadagna per mezzo delle virtú sociali, adottando valori e modelli di comportamento condivisi, rispettando il diritto, obbedendo alle leggi. Si poteva nascere Romani, ma, cosa ben piú importante, lo si poteva diventare.
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