«Dobbiamo sfatare una volta per tutte l'idea che Bach sia stato, nella sua vita personale e professionale, una sorta di pietra di paragone, il «quinto evangelista» dei suoi compatrioti ottocenteschi, l'incarnazione vivente dell'intensa fede religiosa e della «presenza reale» che la sua musica sembrava trasmettere. Riconoscendone la fragilità e le imperfezioni, molto meno antipatiche di quelle di Mozart o di Wagner, non solo Bach diventa piú interessante come persona rispetto al vecchio esempio della leggenda, ma ci permette anche di vedere la sua umanità filtrare attraverso la musica, la quale a sua volta è molto piú coinvolgente quando comprendiamo che è stata composta da qualcuno che, come tutti gli esseri umani, ha sperimentato il dolore, la rabbia e il dubbio in prima persona. E questa è una delle caratteristiche ricorrenti che conferiscono autorità suprema alla sua musica».
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