Prima o poi viene il momento di inforcare gli occhiali: per non pensare che nel mondo ci sia solo quello che riusciamo a immaginarci, e per non illuderci che ci sia tutto quello che ci immaginiamo noi.All'inizio c'è il mondo. Non è tutto uguale: qui è caldo, lì è madre, là è rumore. Ben presto cominciamo a distinguere e a riconoscere: di nuovo caldo, ancora madre, altro rumore! Ciononostante, tutte queste cose appaiono inizialmente del medesimo conio, mere porzioni di quel tutto che è. Solo col trascorrere del tempo questo tutto si veste di forme: gli oggetti si staccano dallo sfondo e acquistano una loro individualità; le sensazioni acquisiscono contorni definiti; i rumori cambiano a seconda delle cose che ci circondano. Cominciamo a fare e a prevedere. Cominciamo a dare nomi, a usare verbi, a dipingere aggettivi. Questo nostro meraviglioso evolverci è materia di studio per gli psicologi e i biologi, ed eventualmente per i sociologi.Ma per il filosofo esso è soprattutto fonte di un'ambiguità profonda e ancora più misteriosa, diciamo pure di un dilemma: stiamo imparando a riconoscere la struttura del mondo o stiamo imponendo al mondo una certa struttura? È la realtà che poco per volta ci rivela i meccanismi secondo cui è organizzata, o siamo noi a organizzare il flusso informe e continuo della nostra esperienza?
Just click on START button on Telegram Bot