"È ingenuità riunire un congresso sullo "spirito europeo" per poi consigliargli di espungere la politica dalla propria competenza. A meno che la cultura non pretenda di giungere al suo estremo della presa di coscienza per isolarsi e trovare nella propria giustificazione un alibi e un pretesto all'inazione. In senso peggiorativo, potrebbe ben darsi che questa fosse una definizione dell'Europa; e non è da escludere che essa sia questo scadimento (che è morale) d'una cultura a metodo scolastico. Se la reazione consiste nel frenare arbitrariamente lo sviluppo d'un processo dialettico, nel rifiutarsi alle deduzioni necessarie, sarà lecito senza peccato di demagogico vocabolario chiamare reazionaria una cultura che, giunta alla sua presa di coscienza, si rifiuti di convertirsi in azione". Queste parole si leggono nel reportage che il giovane Contini, "inviato" a Ginevra, scrive nel 1946 per la "Fiera letteraria". In esso sfilano e si confrontano alcuni protagonisti della cultura europea. L'occasione è la prima di quelle Rencontres internationales de Genève che da allora, con cadenza biennale, hanno discusso temi cruciali della nostra epoca. Con un saggio di Daniele Giglioli.
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