E' ancora importante la conoscenza storica? Conserva una qualche utilità il suo insegnamento nelle scuole e nelle università? Continua a costituire un vantaggio per la formazione del cittadino del mondo attuale? Inutile nasconderselo: il sistema dei valori dominanti, lo stile stesso dell'epoca presente tendono a considerare superflua la storia. Svalutazione del passato e delle sue possibilità di conoscenza; erosione della memoria, pubblica e privata; «declino dell'avvenire», per l'impossibilità di pensarlo e prefigurarlo: è il presente ad assumere, nelle nostre società, una dimensione totalizzante, come se questo fosse davvero l'unico dei mondi possibili. Ma la storia mostra – ed è questo il suo insostituibile compito civile – che altri mondi sono possibili: che le cose non necessariamente sono andate come dovevano andare; che l'ambito delle possibilità umane si muove in uno spazio predeterminato, ma non chiuso. Questa consapevolezza del carattere aperto della nostra vicenda collettiva si può avere soltanto studiando la storia. Sorge da qui l'afflato culturale e al contempo civile e pedagogico di questo libro, in cui l'autore, a dieci anni di distanza dalla prima edizione, riformula alcuni problemi lasciando però intatta la sostanza originaria, anche perché mai come oggi, e mai come nel nostro paese, il passato è diventato luogo di aspre contese politiche. A partire naturalmente dall'interpretazione di una fase drammatica della storia d'Italia, quella della Resistenza e del secondo dopoguerra. In questo senso, si rende necessario soprattutto oggi ciò che questo libro auspica, ovvero la presenza attiva della ricerca storica, con la sua opera di distinzione fra memorie collettive, ricordo dei protagonisti e ricostruzione documentata, priva di intenti strumentali e sostenuta da autentica passione civile.
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