Per 35 giorni in balia di due fantasmi incappucciati di cui si ignora tutto tranne la fredda determinazione: pronti a uccidere. Fu questa la condizione in cui visse, da giovedì 18 aprile a giovedì 23 maggio 1974, prigioniero delle Brigate Rosse, il giudice Mario Sossi. Quattro anni dopo, egli ricostruì nei minimi particolari, con l'aiuto dell'amico e giornalista-storico Luciano Garibaldi, la sua allucinante avventura. Lo fece con spietata sincerità, prima di tutto verso sé stesso, per tener fede a un impegno preso tacitamente durante quegli interminabili giorni nel «carcere del popolo»: spiegare agli italiani, soprattutto ai giovani, quale spaventosa ideologia di morte si nascondesse dietro l'utopia rivoluzionaria. E lo fece sebbene non mancasse chi lo sconsigliava, data la sua condizione di «condannato a morte in libertà provvisoria», ribadita dai capi brigatisti il 22 maggio 1978 nell'aula di giustizia di Torino dove venivano processati.Da questa sua testimonianza è tratta la fiction televisiva «Gli anni spezzati. Il giudice», prodotta dalla Albatross Entertainment e diretta dal regista e sceneggiatore Graziano Diana, Premio Acqui Storia 2013 «La storia in Tv». Ma il libro che, edizione dopo edizione, si impone come un classico degli «anni di piombo», è anche una storia d'amore, l'amore di un uomo per la propria moglie, di una donna per il proprio marito. È la cronaca commovente di un dialogo a distanza tra il giudice Sossi e sua moglie Grazia, sullo sfondo del quale si muovono protagonisti grandi e piccoli di una delle pagine più drammatiche della storia italiana contemporanea.
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